di Angelica Donati*

Il nostro Paese sta vivendo giorni complessi, fronteggiando un’emergenza tale da generare effetti micidiali (e potenzialmente devastanti) non solo sul piano sanitario, ma anche su quello economico e sociale, modificando le abitudini quotidiane di tutti noi e incidendo profondamente sul tessuto imprenditoriale italiano, a tutti i livelli.

Una situazione che può essere affrontata solo facendo appello al senso di responsabilità di tutti – Governo, imprese e cittadini – a favore di una collaborazione costruttiva per la gestione e il superamento dell’emergenza sanitaria e della conseguente emergenza economica. Con gli ultimi decreti, il Governo ha riconosciuto l’importanza della continuità di tutte le attività economiche, produttive e lavorative, testimoniando grande sensibilità verso il sistema delle imprese e la consapevolezza della sua centralità per garantire la funzionalità di tutto il Paese, a partire dalle famiglie.

Presto occorreranno strategie decise e concrete di sostegno all’economia, sia attraverso provvedimenti urgenti sia con azioni mirate per compensare le attuali condizioni del mercato e l’arretramento della domanda. Si tratta dell’occasione per trasformare la sfida che l’Italia sta affrontando nell’opportunità di recuperare senso civico e spirito di comunità.

Ma torniamo ai fatti, e all’impatto sugli imprenditori e sul mondo economico.

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha dimostrato di non avere tempi di risoluzione brevi: dall’inizio della pandemia, come è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, i casi confermati nel mondo, dopo meno di tre mesi dal primo caso in Cina, hanno superato le 150 mila unità, con migliaia di vittime.

Secondo Ghebreyesus, direttore dell’OMS, si può e si deve parlare appunto di “pandemia”, per l’”aumentata e prolungata trasmissione del virus nella popolazione generale” e perché è “virtualmente inevitabile la comparsa di casi in tutto il mondo”.

Al velocissimo diffondersi del virus è coinciso un drammatico impatto economico. Fin da subito gli imprenditori hanno manifestato una grande preoccupazione nei confronti dell’epidemia (quale era allora), soprattutto dopo la scoperta dei focolai nel nord Italia. Secondo l’ultima analisi di Confindustria emerge come il 65% degli intervistatati abbia registrato un impatto negativo sulla propria attività a causa della diffusione del Covid-19 in Italia.

È proprio l’area settentrionale del nostro Paese che purtroppo risente e risentirà maggiormente delle conseguenze. Ma, essendo questa, nei fatti, l’area di punta del nostro tessuto produttivo, le ripercussioni sull’economia nazionale saranno inevitabili.

I settori che sono colpiti dall’emergenza del coronavirus purtroppo non sono pochi. A partire dai piccoli commercianti, che hanno dovuto obbligatoriamente cessare le attività, fino ad arrivare ai grandi imprenditori che stentano a mandare avanti la produzione e rischiano di vedersi costretti a lasciare i propri dipendenti a casa, dovendosi affidare agli ammortizzatori sociali che andranno sempre più garantiti.

Senza contare gli enormi danni al settore del turismo e a tutto l’indotto collegato: danni non solo economici ma anche di immagine e di percezione del nostro Paese all’estero. Essere stati considerati da alcune parti “gli untori” sarà un danno per l’attrattività dell’Italia non solo nell’oggi, – dove abbiamo questioni più importanti da affrontare e drammi ben più gravi da risolvere – ma che ripercuoterà i suoi effetti anche sul domani

In questo comparto, quello recettivo e del turismo, le prime attività a risentire pesantemente della crisi sono state quelle alberghiere e della ristorazione, fino a che le misure del Governo non ne hanno imposto la chiusura (prima serale, poi totale).

articolo originariamente pubblicato su Quale Impresa, marzo/aprile 2020.